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10 apr 2013
Intervista a Alexander Raskatov


ALEXANDER RASKATOV

intervistato nella nostra sede


Lei è originario di Mosca?
 

Sono nato a Mosca il giorno dei funerali di Stalin, fortunatamente o
sfortunatamente: il 9 marzo 1953. Lo stesso giorno si celebravano anche i
funerali di Sergej Prokof’ev. Pensi: mi hanno raccontato che in quelle ora era
impossibile comprare fiori, perchè erano stati tutti venduti per il funerale di
Stalin. Gli amici di Prokof’ev si videro costretti a portare quelli che
tenevano nelle loro case: gerani, cactus…

Adesso non vivo più a Mosca. Ho lasciato la mia città natale nel 1994. Prima
sono andato a lavorare in Germania, invitato da Andreij Valkonski, che aveva
sentito la mia musica. Ora vivo a Parigi.


Cosa le hanno raccontato di quel giorno?

È stato un momento speciale, difficile. Mio padre era chirurgo e lavorava
in un ospedale: quel giorno gli arrivò l’ordine di sgomberare l’ospedale perchè
si aspettavano molto feriti, schiacciati dalla folla che partecipava al
funerale di Stalin. Mio padre mi ha raccontato che in ospedale è arrivata solo
una persona ferita: migliaia sono morti in strada, uccisi dalla calca, in un
punto dove il percorso si stringeva e non c’era via di scampo. Si dice che
Stalin fosse una persona così cattiva che riuscì a portare con sé altri morti,
il giorno del suo funerale.


Il giorno in cui è nato sono stati dunque celebrati sia i
funerali di Stalin sia quelli di Prokof’ev. Ritiene che questo sia stato un fatto simbolico per la Sua vita?


Sono sicuro che non succede mai niente per caso. Facciamo tante cose seguendo il nostro istinto e le intuizioni. Quando già ero via da Mosca io e mia moglie abbiamo visto assieme un film documentario sui funerali di Stalin. Mia moglie mi ha detto: “Adesso ho capito perchè hai questo carattere speciale!”


Com’è il Suo carattere?

Mi risulta difficile descrivere me stesso. Sono preoccupato, ansioso; per me è difficile rilassarmi.


A che età ha iniziato a capire la musica?

Quando avevo 5 anni mi hanno regalato della musica registrata. Lo creda: stavo da solo in camera facendo finta di essere un direttore d’orchestra. A 6 anni conoscevo già a memoria le musiche e i concerti di Bach, di Mozart. Non leggevo le note, ma con la memoria ricordavo tutto. Prima ancora di scrivere la musica, amavo ascoltarla e mi prendeva in modo così forte che a volte piangevo. Alla radio ascoltavamo sempre musica classica. Ho studiato pianoforte, senza pensare che sarei diventato un compositore.



I suoi genitori hanno seguito questa sua passione?


I miei genitori non erano musicisti. Mio papà però aveva orecchio per la musica e quando era piccolo era stato scelto dai professori per imparare a suonare il violino. Ha sempre avuto il rimpianto di non aver studiato bene violino, perchè
ha dovuto lavorare e mantenere la famiglia. Mia mamma, invece, era dottoressa e aveva passione per l’opera. Quando l’orchestra della Scala è venuta a Mosca nel 1964, ha trascorso tutta la notte in fila per comprare il biglietto.



A quanti anni ha iniziato a scrivere musica?

Quando avevo 15 anni ho letto il Doctor Faustus di Thomas Mann, e nella mia
testa è successo qualcosa: grazie a questo libro ho iniziato a scrivere musica.


È come la fede, è un’ispirazione?

Dobbiamo saper cogliere e vedere i segni. Molte persone non se ne
accorgono.


Come ha fatto ad accorgersene?

L’ho avvertito dentro di me: è stato istintivo. Credo tantissimo nelle mie
intuizioni.


Crede in Dio?

Sì. Penso che se una persona non crede non possa scrivere musica. Secondo me la lingua latina è come una musica: vorrei creare una Green Mess.
Usare la lingua latina e gli Inni di Francesco d’Assisi per entrare di nuovo
nella natura e nel mondo. Nella nostra contemporaneità non c’è spazio per la
natura.


Cosa pensa del nuovo papa che proprio da Francesco
d’Assisi ha preso il nome?

Ho avuto poco tempo per seguire le vicende in questi giorni. É presto per
poter esprimere un’opinione, ma credo che la sua direzione sia buona: pensa
alla gente, a coloro che sono poveri. In Italia ora c’è crisi, ma la
popolazione italiana deve e può lavorare per aiutare la cultura. Per ogni cosa c’è un momento giusto e dobbiamo saperlo cogliere.


È partito o è scappato da Mosca?

Guardando al passato, a 20 anni di distanza, dico che sono partito per non dire
che sono fuggito. Avevo 40 anni e non è stato facile; abitavo a 300 metri dalla
Piazza Rossa e ho lasciato tutto.

Sono andato via perchè ho dovuto pensare ai miei figli. E poi cercavo anche una strada professionale. Ho due figli maschi e quando sono venuto via nel 1994 pensavo al loro futuro: avevo paura che andassero a combattere nella guerra in Cecenia. Sono molto contento di avere dato loro questa libertà: uno ha studiato ad Oxford, e ora lavora in California al California Technology Institute di Pasadena, l’altro studia filosofia a Berlino.


Sente la nostalgia della famiglia?

È un problema difficile per me, cerco di parlare tutti i giorni con loro.
Per i russi, come per voi italiani, la famiglia è molto importante. Ho
trascorso la mia infanzia vicino ai miei genitori.

Per Cuore di cane i miei figli mi hanno raggiunto a Milano, facendomi molto
felice.


Torna spesso in Russia?

Torno solo per lavoro. Per esempio nel 2012 sono stato per un mio concerto
al Teatro Mariinskij, chiamato da Valerij Gergiev e ho trascorso 2 settimane a
San Pietroburgo. Anche Jurij Bašmet mi ha chiesto di scrivere musica per un suo concerto a Mosca.


Ha conosciuto Rostropovič?

Abitava nel mio stesso palazzo, nella Casa dei Compositori a Mosca; tuttavia
Rostropovič è andato via da Mosca nel 1970, quando io avevo 20 anni. Quando mi sono trasferito nella Casa dei Compositori, nel 1979, lui era già a Parigi.


Quando abitava nella Casa dei Compositori parlava con gli
altri artisti?


Nella Casa abitavano molti compositori più grandi di me e per me era difficile
parlare con loro, perchè avevo timore e provavo soggezione. Era più facile
parlare con loro quando li incontravo, ad esempio, in fila dal medico. In tale
occasione ho conosciuto Matvey Blanter, autore della canzone Katjuša. 

In quegli anni ho lavorato tanto per il cinema; ho scritto circa 15 lavori per
il grande schermo.


Oltre alla Casa dei Compositori e allo studio medico,
c’era un luogo privilegiato dove incontrava altri artisti?

Avevamo la consuetudine di affittare piccole dacie fuori da Mosca, in mezzo
al bosco, per brevi periodi. Abitavo assieme ad altri compositori, parlavamo e
scambiavamo idee. Ogni dacia aveva un pianoforte e costava davvero poco. Ci
ritrovavamo più volte in un anno perchè si riusciva a comporre, in silenzio, in
mezzo al bosco e tra persone care. Lì ho incontrato veri amici.


Avverto che il bosco per Lei è molto importante. Ha avuto
ancora l’occasione, una volta che è andato via dalla Russia, di vivere esperienze come quella?

Quando ero in Russia non potevo vivere senza bosco. Avevo un rituale: ogni
mattina dopo la colazione andavo nel bosco e toccavo gli alberi. Anche adesso
per me è difficile non avere un bosco.


Come fa a scrivere senza il bosco?

Con la memoria. Quando non lavoro per me è difficile stare da solo, perchè
ho sempre bisogno di comunicare. Della Russia mi mancano le occasioni di
incontro e di dialogo con gli altri compositori.

In Francia non esistono queste abitudini. Per questo l’accoglienza che Lei e
gli Amici della Scala mi avete dedicato costituisce per me un vero onore.


Ogni tanto quando scrive finge di essere in un bosco?

Ho tanti incontri e ricordi che mi ispirano; non penso solo al bosco. Sono
felice anche dove sono adesso. Le faccio un esempio. Il regista Andrej
Tarkovskij ha fatto un film molto famoso, Nostalghia: parlava di un compositore russo molto famoso, trasferito in Italia. dopo il grande successo decise di tornare in Russia; ma una volta a casa si era sentito inutile si tolse la vita.

Voglio dire che sono felice, ma sto cercando una strada nuova, nuovi spazi.


Si trova bene a Parigi?

Parigi mi piace, è una città molto artistica. Ma mi sento stretto: a Parigi
le persone pensano in modo differente da me, c’è molto snobismo. Fino ad ora
non mi pare di aver trovato il posto giusto per me nel mondo. Se si perde la
terra sotto i piedi, non ci si riesce ad appoggiare da nessuna parte.


Se avesse la possibilità di creare un bosco anche a Parigi,
o in Germania, sarebbe più facile per Lei sentirsi a casa?

L’Italia è stata una bellissima scoperta, mi piace vivere qui. Amo la
lingua, è importate per il suo suono, ma amo anche i mirtilli e i funghi: vuol
dire che avete tanti boschi!

In Germania, per esempio, non riuscivo a sentire la terra, avvertivo solo
l’industria.


Cosa manca in Germania? 

Quando sono arrivato in Germania ho pensato di trovare energia positiva, ma
non è stato così. Ognuno pensava a se stesso, non c’era comunicazione.


Esiste una Nazione dove si sentirebbe a casa?

La risposta classica a questa domanda è: tutto è dentro di noi. Ma è un
pensiero pericoloso: se siamo da soli, non realizziamo cose buone.


È possibile che lei non trovi un posto per Lei perchè
avverte la mancanza di ritrovarsi, come faceva in Russia, con gli altri
compositori e artisti?

Come dice un filosofo presocratico: “Non ci si può bagnare due volte nella
stessa acqua del fiume”. In Russia non troverei più l’atmosfera del passato, ma
ho speranza. Il compositore è come un’ape che dal fiore crea il miele; poi
quando il fiore è finito, ne cerca un altro. Io come compositore cerco il mio
fiore.


Ma se si accorgesse che il fiore è Lei?

È un’idea molto bella, non ci avevo mai pensato. Questo periodo milanese mi
piace, sto bene e non solo perchè sono alla Scala. È molto importante la Scala,
ma lo è anche l’atmosfera. Mi trovo bene a Milano, forse anche perchè il
carattere della città è simile a quello russo, nordico.


Come si è trovato alla Scala?

Qui a Milano ho conosciuto Gastón Fournier, che mi aveva telefonato quando
ero ancora a Parigi. Mi è piaciuto e ho trovato facile e normale comunicare con
lui. Posso dire che sono a Milano da un mese e mezzo e non trovo difficoltà. Mi
sento libero e felice. Mi piace il rapporto che si è creato anche con
l’orchestra.


Lei compone con il computer?

Non scrivo mai al computer. Io scrivo con matita e carta. La matita per me
è il prolungamento del mio pensiero. Il manoscritto vive per sempre.


Conosce se stesso?

Scrivere musica è un modo per conoscere me stesso.


Pensa che si possa sempre distinguere il bello dal brutto?

Non so dire cosa è bello o cosa è brutto, se c’è una scuola musicale giusta;
per me non va bene osservare il mondo solo da una posizione. Però una
convinzione mi sento di affermarla: la musica di oggi purtroppo non ha umanità.


Cosa intende?

Esistono due aspetti estremi. Da un lato c’è una musica per poche persone, per
un’élite: musica più “cerebrale”. Questa musica è per i professionisti della musica, per un mondo molto ristretto. Dall’altro lato c’è il rock, il pop: per il
popolo che non sa cosa significhi musica. In questo periodo purtroppo fa più
effetto ciò che vediamo, non quello che ascoltiamo: le vetrine dei negozi,
internet, la TV, mostrano solo cose superflue. L’opera soffre perchè non c’è
più spazio per la musica; la gente preferisce guardare show. La musica è messa
sempre da parte; è impensabile pensare che qualcuno ai nostri giorni possa
scrivere il Requiem di Verdi. Non avviene perché abbiamo persone con poco
talento, si verifica perché la musica ha intrapreso una strada diversa.


Questo La fa soffrire?

Assolutamente sì.


Per Lei è importante ammettere la sofferenza?

Dostoevskij diceva che la sofferenza è importante per l’uomo. Ma diceva anche
che la bellezza salverà il mondo. Come compositore vorrei che la mia musica
arrivasse alle persone, che toccasse il cuore e aiutasse qualcuno.


La Sua musica ha successo?

Mi piacerebbe scrivere della musica che “entrasse” nelle persone. Come
compositore sento che io devo dare, non devo aspettare.


Viviamo in un mondo sempre più veloce, cosa ne pensa?

Spesso mi chiedo perché pur vivendo più a lungo, le persone facciano sempre
meno nella loro vita. È paradossale. Per me è colpa della velocità del nostro
mondo. Mozart, Verdi, Beethoven hanno fatto grandi cose senza internet, senza potersi spostare con aerei o con treni ad alta velocità. Ora c’è una bulimia di informazioni. Vogliamo sapere tutto, ma non serve. Non è necessario velocizzare tutto, conoscere ogni cosa. Se per esempio calcoliamo i lavori di Bach, per riscriverli dovremmo dedicare a essi tutta una vita.


Poco fa Lei si è definito “ansioso”. Ha paura
dell’incertezza?

Penso che l’incertezza costituisca una parte integrale del mio lavoro,
tanto che per comporre devo stare da solo tanto tempo.


Quando Lei deve fare un’intervista, si prepara prima?

Non mi preparo mai, mi piace la spontaneità, parlare ed essere me stesso.
Anche quando scrivo musica devo svuotarmi e ricominciare sempre da capo.
Preferisco fare tabula rasa. È importante ritrovare l’innocenza ogni giorno, e
rinnovarla.

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